Mondo

Così a Bruxelles affonda l’Africa

L’asse franco-tedesco non vuole rinunciare al protezionismo verso i propri prodotti agricoli. Christopher Stevens,economista inglese,spiega quali sono le conseguenze per i Paesi poveri.

di Joshua Massarenti

Passata la sbornia della cancellazione del debito, ora tutti gli sguardi sono rivolti al Summit del G8 in programma a Gleneagles, in Scozia, tra il 6 e l?8 luglio dove gli otto Paesi più ricchi del mondo decideranno di raddoppiare (o meno) gli aiuti per lo sviluppo del Sud del mondo. Ma sono in molti a scrutare orizzonti più lontani che puntano dritto su Hong Kong. Lì avrà luogo in dicembre il prossimo vertice del Wto, l?Organizzazione mondiale del commercio. Lì, a detta dei Paesi in via di sviluppo e dei portavoce della società civile internazionale, si decideranno davvero le sorti della lotta alla povertà mondiale.
«Una sfida colossale che ormai si gioca a Gleneagles, e soprattutto a Hong Kong», spiega Christopher Stevens, economista presso l?Institute of Development Studies di Brighton ed esperto da oltre 25 anni di politiche commerciali internazionali tra il Nord e il Sud del mondo, con un occhio di riguardo all?Africa. Ospite del convegno sulle nuove strategie di sviluppo dell?Africa organizzato dall?Unicredit Foundation, Stevens ha spiegato a Vita l?importanza cruciale del prossimo Summit del Wto, e il perché sarà il commercio internazionale, più che la cancellazione del debito e gli Aps, a decidere il futuro del continente africano. Un futuro reso ancor più incerto dalle turbolenze che stanno destabilizzando l?Unione europea, come testimonia il fallimento del Consiglio europeo di Bruxelles sul finanziamento del bilancio comune 2007-2013, che rischia di compromettere seriamente la battaglia agricola intrapresa dagli africani contro l?Ue.
Il fattaccio di Bruxelles ha dimostrato che la Germania e la Francia non intendono in nessun modo diminuire il budget europeo riservato alla politica agricola comune, liquidata dal premier inglese come «roba vecchia che ci sta procurando un sacco di problemi con i Paesi fuori della Ue, che ci accusano di protezionismo».
Vita: In molti sostengono che per risollevare le sorti dell?Africa non basti la cancellazione del suo debito, ma sarà necessario aumentare gli Aps e imporre nuove regole nel commercio internazionale?
Cristopher Stevens: Sarà il commercio internazionale a stabilire se l?Africa potrà rinascere o meno. La polemica riguarda i sussidi europei e americani ai loro prodotti agricoli e tessili, e il mantenimento delle loro barriere doganali, entrambi rovinosi per economie africane largamente vincolate all?agricoltura. Per i Paesi africani rimane vitale guadagnare in valuta estera attraverso il commercio estero in modo da non essere così dipendenti dagli aiuti. Se la dipendenza è così alta è perché le loro economie sono nel caos e producono meno di quanto dovrebbero.
Vita: Cambierà qualcosa al prossimo summit del Wto a Hong Kong?
Stevens: L?agenda politica non è ancora chiara, ma temo che non si vedranno grossi cambiamenti. Almeno in favore dell?Africa. Per capire Hong Kong bisogna però analizzare la storia dei rapporti commerciali fra l?Unione europea e gli Stati africani. Il cambiamento radicale è avvenuto nel 1975 con la nascita della Convenzione di Lomé, in Benin. Le nazioni membre del mercato comune europeo hanno stabilito assieme ai Paesi dell?Africa, dei Caraibi e del Pacifico (Acp) un regime di ?commercio e aiuto? preferenziale per le ex colonie Acp. Tuttavia, con il passare degli anni, l?economia si è globalizzata e nei nuovi rapporti di forza, nazioni come la Cina, l?India o il Brasile hanno spinto l?Ue a rivedere il regime tariffario preferenziale concesso ai Paesi Acp. Basti pensare che se nel 1975 l?Africa era uno dei principali partner di scambio dell?Ue, nel 2000 è invece all?ultimo posto. Di fronte al desiderio dell?Ue di ridimensionare la Convenzione di Lomé, si è giunti a un compromesso: gli Acp hanno promesso che avrebbero cambiato gli accordi entro il 2007 favorendo tutta una serie di negoziati. Oggi siamo nella fase finale e per il 2008 dovremmo avere un nuovo regime commerciale. Non sappiamo ancora che tipo di regime sarà, anche se è certo che entro la fine agli anni 2015-2020, i Paesi africani dovranno eliminare ulteriormente le loro barriere doganali nei confronti della maggior parte dei prodotti importati dall?Ue.
Vita: Intanto la Politica agricola comune (Pac) dell?Ue continua a danneggiare milioni di africani, mentre, paradossalmente, l?Ue contesta le politiche di dumping economico della Cina.
Stevens: Prendiamo l?esempio del tessile. Dal 1° gennaio 2005 sono state tolte le barriere doganali che limitavano l?importazione in Europa di prodotti tessili cinesi. Questo ha avuto un effetto negativo per i produttori africani, che ora devono affrontare a prezzi più bassi i mercati europei. Tutto sommato però non hanno molto da perdere perché per anni l?Ue ha offerto all?Africa vantaggi teorici sull?importazione di tessili con le tariffe preferenziali, ma nel contempo ne ha limitato le importazioni.
Vita: In che modo?
Stevens: L?Africa esportava in Europa abbigliamenti realizzati con tessile cinese con la conseguenza di vedersi limitare i prodotti esportati perché l?Ue sosteneva che tali prodotti non era africani, bensì cinesi, quindi soggetti a restrizioni applicate alla Cina. Di alternative non ce n?erano poiché se non avessero usato tessuti indiani o cinesi, i costi di produzione sarebbero risultati troppo elevati.
Vita: Che ruolo sta assumendo la Cina in tutta questa vicenda?
Stevens: L?enorme richiesta di consumo interno della Cina e la sua industrializzazione hanno spinto Pechino ad aumentare la sua domanda di materie prime dall?Africa. Viceversa, l?Africa importa dalla Cina prodotti manifatturieri a prezzi molto più convenienti rispetto all?Occidente. Di negativo c?è il fatto che l?Africa produce in realtà pochissimi manufatti.

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